La violazione di tale clausola comporta l’inopponibilità della cessione sia alla società che ai soci titolari del diritto di prelazione, oltre all’obbligo di risarcire il danno eventualmente causato. In altre parole, se la clausola di prelazione è inserita nello statuto (e non solo in un patto parasociale), essa assume valore “organizzativo” e può essere fatta valere anche dai soci esclusi, non solo dalla società. Questo conferisce alla clausola efficacia verso terzi, rendendo il trasferimento relativamente inefficace se avvenuto in violazione della stessa.
I cedenti avevano eccepito la carenza di legittimazione passiva dei soci pretermessi, rilevando che solo la società potesse eccepire l’inopponibilità della cessione, ma il Tribunale ha smentito tale tesi. Tuttavia, l’inefficacia della cessione non è automatica: il socio pretermesso deve agire in giudizio, dimostrando non solo la violazione della clausola, ma anche l’interesse concreto leso. Tale interesse non può consistere semplicemente nel mancato rispetto della procedura, ma deve tradursi in un interesse patrimoniale all’acquisto della quota. Solo in presenza di questo presupposto è possibile ottenere il risarcimento del danno, anche secondo il criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c.c.