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Diritto societario internazionale: libertà di stabilimento in caso di disallineamento tra sede legale e sede amministrativa di una società

Diritto societario

Diritto societario internazionale: libertà di stabilimento in caso di disallineamento tra sede legale e sede amministrativa di una società

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che la normativa di uno Stato membro che prevede in generale l'applicabilità del proprio diritto nazionale agli atti amministrativi di una società che ha la sede in un altro Stato membro, ma svolge la maggior parte della propria attività nel primo Stato membro, non è compatibile con il diritto dell'Unione (Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 25 aprile 2024 - C-276/22).

 

Una società italiana era proprietaria di un castello situato in Italia. L'oggetto sociale della società era la gestione di tale proprietà. La società ha trasferito la propria sede dall'Italia al Lussemburgo ed è stata quindi trasformata e ricostituita in una società lussemburghese, continuando a gestire il castello in Italia. La società ha poi trasferito la proprietà del castello a terzi, ma ha successivamente agito giudizialmente chiedendo l’annullamento del di trasferimento della proprietà del castello, in quanto illegittimo ai sensi del diritto italiano, sussistendo un difetto di rappresentanza organica. Il ricorso è stato respinto in primo grado. La Corte d'appello ha accolto il ricorso applicando il diritto italiano alle società che, pur avendo sede in un altro Stato, realizzano il loro oggetto sociale principale in Italia. Ciò si applicava alla società oggetto della controversia, poiché l'attività principale consisteva nella gestione del castello situato in Italia. La Corte di Cassazione italiana ha infine sottoposto il caso alla Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) per dubbi sulla compatibilità di tale normativa nazionale con la libertà di stabilimento.

La Corte di giustizia dell'Unione europea ha pronunciato la sua sentenza tenendo conto dell'art. 49 TFUE in combinato disposto con l'art. 54 TFUE, che estende la libertà di stabilimento alle società costituite secondo la legislazione di uno Stato membro e che hanno la sede statutaria, l'amministrazione centrale o la sede principale all'interno dell'Unione europea. Ciò era applicabile al caso di specie. La società era stata costituita come società lussemburghese, aveva sede in Lussemburgo ed esercitava la maggior parte della sua attività in un altro Stato membro, vale a dire l'Italia.

Secondo la Corte di giustizia, tutte le misure che impediscono, ostacolano o rendono meno attraente l'esercizio della libertà di stabilimento devono essere considerate restrizioni di tale libertà ai sensi dell'articolo 49 TFUE. Ciò si verifica quando una società deve sottostare a due ordinamenti giuridici, da un lato perché, in virtù della libertà di stabilimento, sarebbe applicabile il diritto di uno Stato membro (nel caso di specie, il diritto lussemburghese) e, dall'altro, una giurisdizione supplementare, perché l'altro Stato membro lo impone in base al proprio diritto nazionale (nel caso di specie, il diritto italiano). Una tale applicazione cumulativa del diritto può essere giustificata. Tuttavia, la Corte non ha ritenuto convincenti le obiezioni sollevate dal governo italiano, che invocava il diritto italiano a tutela dei creditori, dei soci di minoranza e dei lavoratori, poiché la norma controversa, data la sua natura generica, non era idonea a garantire la tutela invocata. In particolare, sarebbe possibile che anche il diritto dell'altro Stato membro garantisca la tutela corrispondente.

Neppure l’obiezione del governo italiano relativa alla prevenzione dell'evasione fiscale ha convinto la Corte. Secondo la sua giurisprudenza costante, il solo fatto che una società con sede in uno Stato membro eserciti la parte principale delle sue attività in un altro Stato membro non può giustificare la presunzione generale di evasione fiscale. La restrizione alla libertà di stabilimento è giustificata in modo convincente solo se lo stabilimento è puramente artificiale e ha il solo scopo di eludere il pagamento delle imposte. Secondo la Corte, il fatto che una società costituita secondo il diritto italiano si stabilisca (e si ricostituisca) in un altro Stato membro continuando a svolgere la maggior parte delle sue attività in Italia non costituisce di per sé un abuso. Se la normativa controversa in Italia esiste solo perché presume che tale comportamento sia abusivo, essa sarebbe inoltre sproporzionata.